La gestione della casella PEC nell'esercizio della professione legale: la nuova sentenza chiarisce gli obblighi degli avvocati
Per gli avvocati, la corretta gestione della Posta Elettronica Certificata è un obbligo professionale. I doveri di diligenza dell’avvocato, stabiliti dall’art. 12 del Codice Deontologico, riguardano infatti anche la PEC.
Lo conferma una recente sentenza del Consiglio Nazionale Forense che stabilisce che i professionisti hanno il dovere di monitorare costantemente la propria casella di posta certificata. E non si tratta soltanto di una buona pratica: la violazione del Codice Deontologico comporta infatti pesanti sanzioni, che includono anche la sospensione dall’esercizio.
Con l’avvento del processo telematico, il domicilio digitale è diventato centrale nello svolgimento della professione di avvocato. In base al D.M. 44/2011, infatti, i professionisti iscritti all'albo sono tenuti a dotarsi di un indirizzo PEC e comunicarlo all’ordine o ente di appartenenza affinché venga iscritto all’interno del Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE) gestito dal Ministero della Giustizia.
Il domicilio digitale, come è stato confermato anche dall’ordinanza 24 marzo 2021, n. 8262 della Corte di Cassazione, Sezione Sesta Civile, prevale su ogni altra forma di domiciliazione prevista dalla legge. Nell’ambito del processo telematico, la PEC è il principale strumento di ricezione delle notifiche.
L’istituzione del domicilio digitale, quindi, porta con sé l’obbligo di diligenza nella gestione della PEC da parte degli avvocati. Come specificato all’Art.20 del D.M. 44/2011, è obbligo del gestore non soltanto adottare misure anti-virus e anti-spam, ma anche disporre di un servizio automatico di avviso dell'imminente saturazione della propria casella, nonché verificare regolarmente l’effettiva disponibilità di spazio per la ricezione dei messaggi.
L’obbligo di diligenza nell’utilizzo della PEC è stato ulteriormente sottolineato dalla Sentenza n. 134/2024 del Consiglio Nazionale Forense (CNF), che ha stabilito che il mancato controllo della propria casella PEC configura una violazione dei doveri deontologici degli avvocati, cosa che espone i professionisti a sanzioni molto pesanti.
Il caso riguarda un avvocato che non aveva adeguatamente controllato la propria casella PEC, non accorgendosi di aver ricevuto un’opposizione a un decreto ingiuntivo che si era poi conclusa proprio per l’assenza in giudizio della parte rappresentata dall’avvocato negligente.
Come si legge nella Sentenza del CNF, il mancato controllo della PEC nel momento in cui si attende eventuale opposizione a un decreto ingiuntivo “è circostanza che di per sé denota negligenza con le dirette conseguenze in termini di configurabilità della violazione di cui all’art. 26 comma. 3” del Codice Deontologico Forense, cioè “ il mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato o alla nomina, quando derivi da non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita”.
In sostanza, il comportamento dell’avvocato, che aveva presentato ricorso al CNF dopo essere stato sospeso dalla professione per otto mesi dal Consiglio Distrettuale di Disciplina di Brescia, configura una grave violazione degli obblighi professionali, cosa che ha portato alla conferma della sanzione.
La recente pronuncia del Consiglio Nazionale Forense rende più chiaro il ruolo della casella PEC nell’esercizio della professione legale: stabilisce infatti che il controllo della PEC rientra tra gli obblighi deontologici degli avvocati. Non si tratta insomma di un compito meramente tecnico o secondario, ma di un dovere fondamentale riconosciuto nei principi di “coscienza e diligenza” espressi nel Codice Deontologico Forense.
Come si afferma nella sentenza, il mancato controllo della PEC non può essere liquidato come una “svista”, ma costituisce una negligenza grave in grado di arrecare un danno concreto al cliente, come avvenuto nel caso in oggetto.
Perciò la corretta gestione della casella PEC è a tutti gli effetti un aspetto fondamentale dell’esercizio della professione di avvocato, soggetto a specifici obblighi di controllo e manutenzione. Altre sentenze, negli anni, hanno affermato questo principio: nel 2020, per esempio, la Corte di cassazione aveva equiparato la notifica di “casella piena” alla ricevuta di avvenuta consegna, rimettendo ogni responsabilità in capo al destinatario negligente, e nel 2021 la stessa Corte ha stabilito che anche il controllo regolare della cartella spam rientra nella diligenza ordinaria dell’avvocato.